Sintesi dell'intervento di Guido Armellini al convegno "Leggere ... che bello!" (Crema 2010). LA LETTERATURA IN CLASSE 1 Si può insegnare il piacere di leggere? • Il verbo leggere sopporta l'imperativo? • Una prescrizione paradossale • La crisi dell'"acculturazione per familiarità" • L'insegnamento letterario come trasmissione e come scommessa. 2 La parola "Insegnare" • L'imprevisto come rumore e come informazione • Domande legittime e illegittime • Chi sono io per te? Chi sei tu per me? • Programmazione e strategia. 3 La parola "letteratura" • L'opera letteraria come documento-monumento • L'opera letteraria come oggetto linguistico • Oltre la didattica del "leggi e ripeti" • L'opera letteraria come campo di gioco. 4 "Fare" letteratura • Ricevere e donare trame • Leggere e scrivere racconti • Leggere e scrivere poesie • "fare" storia della letteratura. 5 Utilità e inutilità della lettura/letteratura • Esperienza di sé nell'esperienza dell'altro • Il ruolo dei cattivi sentimenti • Troppo poco?

 

LA LETTERATURA IN CLASSE

di Guido Armellini

 

1.1. È un po' che non ho esperienza quotidiana della scuola, ma ho insegnato 25 anni in un istituto tecnico; adesso sono in università, ma mi capita di andare a scuola a parlare con gli studenti ed i loro insegnanti. Dico subito che racconterò quello che traggo dai miei 25 anni di esperienza; so che i tempi sono cambiati, in parte quello che dico può valere, in parte no.

Voglio partire dalla domanda: "Si può insegnare il piacere di leggere?" Questo perché credo che per ogni persona che insegna letteratura, che insegna italiano, una delle principali finalità è che i ragazzi finiscano il loro percorso scolastico col desiderio di leggere altri libri.

Mi piace cominciare questa chiacchierata con una citazione da un libro che è un classico e che sicuramente conoscerete, un libro di Daniel Pennac: Come un romanzo. Pennac dice che il verbo leggere non sopporta l'imperativo, avversione che condivide con alcuni altri verbi: amare, sognare… I libri non sono stati scritti perché i giovani li commentino, ma perché se hanno voglia li leggano. E più avanti prescrive agli insegnanti di letteratura: "Non porre la benché minima domanda, non dare alcun compito, non aggiungere una sola parola a quella delle pagine lette, nessun giudizio di valore, nessuna spiegazione del lessico, nessuna analisi testuale, nessuna indicazione bibliografica".

Se noi prendessimo alla lettera le parole di Pennac, noi che insegniamo queste cose a scuola, dovremmo dare le dimissioni in massa, perché è del tutto impossibile insegnare senza fare queste cose e io confesso di averle fatte, di averle fatte abbondantemente, di aver anche minacciato sanzioni se non si fosse letto fino a pagina tale.

Ma la domanda è appunto: "Facendo questo tipo di operazioni che sono tipiche della scuola si uccide necessariamente il piacere di leggere? E' proprio vero che il verbo leggere non sopporta l'imperativo?" Ecco io credo che il verbo leggere sopporti l'imperativo, io posso dire ad uno studente, ad un ragazzo: "Leggi da qui a là".

 

1.2. Il verbo che veramente non sopporta l'imperativo è il verbo "Provare piacere". Io non posso dire prova piacere a leggere. L'ingiunzione "Prova piacere" è una prescrizione paradossale che per sua natura non può essere eseguita da chi la decide. Il prototipo della prescrizione paradossale è: "Sii spontaneo". Se io dico ad una persona sii spontanea è chiaro che questa persona non può essere spontanea se è spontanea perché gliel'ho detto io.

Il piacere non si può provare a comando, la nostra prescrizione non solo è ineseguibile, ma anche controproducente. "Se tu ami I Promessi Sposi ti do 8, se non ami I Promessi Sposi ti do 4" è un invito a mentire non ad apprezzare I Promessi Sposi.

Dunque il piacere di leggere non si può insegnare, non si può prescrivere, non si può misurare, non si può valutare. Era così anche quando ero giovane io, non è che è una novità. Il piacere di leggere non si può insegnare, non si può trasmettere attraverso qualche strategia didattica.

 

1.3. La società oggi è molto cambiata, non è più possibile utilizzare un metodo che funzionava fino ad alcune decine di anni fa che è l'acculturazione per famigliarità.

Penso a quando io ero studente, molti anni fa, al liceo di Bologna. Il prof. Mario Pazzaglia leggeva La Ginestra di Leopardi e, secondo l'estetica crociana, ci faceva notare dove c'era la poesia e dove non c'era. Io ho ancora i canti di Leopardi con annotato: poesia, non poesia. Ma la cosa interessante è che noi ci credevamo, questa è la cosa fondamentale, cioè quando il prof. Pazzaglia leggeva la ginestra e vibrava, vibravamo anche noi. E quindi non era un'imposizione violenta. C'era l'acculturazione per familiarità in clan culturalmente omogenei.

È possibile solo in tribù che hanno una cultura comune, in cui i giovani vanno dai vecchi e s'impregnano di quella cultura che sentono anche loro, per diventare grandi, per entrare nella società. La differenza tra noi e Pazzaglia era solo quantitativa, lui sapeva di più, noi di meno, ma facevamo tutto sommato della tribù delle parole scritte. C'era un solo canale RAI, una sola TV dei ragazzi che ad una certa ora finiva, e quindi era normale che quando tornavi a casa ti buttassi sul letto a leggere un libro. Oggi non è normale che un ragazzo si metta sul letto a leggere un libro. Anzi i genitori si preoccuperebbero,non fa più parte di quella tribù per moltissimi motivi.

Sempre stando dentro il campo estetico della letteratura voglio raccontare un episodio che esprime questo ed è un episodio molto lontano nel tempo e che riguarda mio figlio Michele. Quando aveva sei anni siamo andati in vacanza in Grecia con la famiglia e siamo andati a vedere il Partenone, quando siamo arrivati il bimbo vibrava di emozioni e io ero colpito e lui… "Papà è il tempio dei Cavalieri dello Zodiaco". Questo mi ha dato veramente l'idea della distanza: noi vediamo lo stesso oggetto culturale, ma il significato di quell'oggetto è profondamente diverso . Per me il Partenone è Fidia, l'età classica, per lui il cartone animato con cui è cresciuto.

C'è una diversità di presupposti. Ci si trova di fronte a due modelli, due modi diversi di appropriarsi della realtà. Tutto questo crea un problema. L'acculturazione per famigliarità non funziona più e se noi insegnanti ci ostiniamo a voler riproporre il modello Pazzaglia, la cosa non funziona.

Quindi la risposta è negativa, non si può insegnare il piacere di leggere. Però di positivo c'è che il piacere di leggere si può imparare. Si può imparare anche oggi, lo vediamo come insegnanti, come genitori. Ad un certo punto capita, a volte, che un ragazzo impari che leggere è un piacere. E può succedere che lo impari nelle situazioni più strane, nelle situazioni più improbabili. Mio figlio Michele, quello dei Cavalieri dello Zodiaco ha imparato che leggere è un piacere durante una vacanza a Lampedusa, per lui noiosissima. Se ne è andato in una libreria e ha acquistato una corposa biografia di Francesco Giuseppe, aveva una decina d'anni e lui s'è innamorato di Francesco Giuseppe e questo lo ha poi portato a leggere sull'epoca e sugli autori mitteleuropei. Il piacere di leggere può essere a scoppio ritardato. Capita di ritrovare allievi dai quali non ci sembrava di aver cavato un ragno dal buco che invece a posteriori ci dicono per esempio: "Ah I Sepolcri".

Quindi il piacere di leggere non si può insegnare ma si può imparare. Si può imparare anche oggi e sta all'insegnante allestire situazioni che non nuocciano e che agevolino lo scoccare di questa scintilla.

 

1.4. L'insegnamento letterario si può concepire come una scommessa, una scommessa sulla possibilità che possa scoccare questo desiderio, questo piacere. Possiamo vincere questa scommessa, dobbiamo giocarcela. Questo è possibile se rinunciamo ad un'idea di insegnamento letterario semplicemente come trasmissione, trasmissione di nozioni.

Mi ricordo un esame di stato in cui un mio alunno bravo fu interrogato in italiano dalla commissaria esterna che le fece questa domanda: "Qual è il protagonista de I Promessi Sposi". Questo ragazzo rispose: "In senso stretto sono Renzo e Lucia, però ci sono altri personaggi positivi come il cardinale Federico e l'Innominato dopo la conversione." "No, il protagonista è il '600, passiamo ad un'altra domanda." Questa professoressa aveva letto un saggio dove Luigi Russo sosteneva che il protagonista dei Promessi Sposi era il '600 e concepiva l'insegnamento letterario come la trasmissione di un'informazione. Quando il ragazzo si è sentito fare quella domanda ha interpretato la domanda come: "Secondo te quale potrebbe essere…", invece era una pura trasmissione di nozioni.

Facciamo un altro esempio. In un'antologia molto diffusa nei bienni delle scuole superiori si chiede ai ragazzi di saper distinguere il racconto di avvenimenti dal racconto di parole; di saper riconoscere il discorso diretto libero e legato, il discorso indiretto legato e indiretto libero, il discorso caratterizzato, il monologo interiore e il flusso di coscienza. Io avrei difficoltà, e del resto nella mia esperienza gli studenti non imparano la semplice distinzione tra fabula e intreccio, non perché è difficile, ma perché se per loro non ha significato non la imparano.

2.1. Le diffuse teorie della valutazione che girano nella scuola ci dicono che solo ciò che è misurabile, verificabile, è importante. Viceversa a me piace citare Irwing Thompson che in Ecologia e autonomia dice: "Ciò che veramente conta non può essere contato".

La scuola privilegia il previsto, il prevedibile. Diamo uno spazio importante all'imprevisto, riconosciamo che non solo ciò che è verificabile è importante, ma che anche ciò che non è verificabile è centrale. L'idea della programmazione non sia un tentativo di abolire l'imprevisto, se sono un bravo insegnante alla fine dell'anno avrò fatto ugualmente tutto quello che avevo ipotizzato di fare all'inizio.

Vorrei leggervi l'incipit di una storia di Giacomo Novembre che illustra molto bene questa questione dell'imprevisto. "In un giorno, o in un'ora, di vacanza, dunque, la buona maestra incontrò una sua scolaretta. La scolaretta accompagnava una mucca. Sembrava più piccola di quando era chiamata alla lavagna o alla cattedra. La buona maestra s'intenerì e le chiese: "Dove vai bambina?". "Porto la mucca al toro", rispose con grande semplicità la bambina. "Oh! Non potrebbe farlo tuo padre?" osservò scandalizzata la maestra. "No, signora maestra - rispose ancora la bambina - ci vuole proprio il toro".

Ecco questo è un esempio di risposta imprevista e secondo l'idea programmatoria dell'insegnamento c'è qualcosa che non va, forse la maestra non ha analizzato bene i prerequisiti. Ma se ci avviciniamo di più a questo scambio comunicativo noi vediamo che la frase "Non potrebbe farlo tuo padre" la bambina l'ha capita perfettamente. Il problema è che questa frase uscita dalla bocca della maestra significava: "Non può tuo padre accompagnare la mucca dal toro". Entrata nell'orecchio della bambina significa altro, ma non c'è errore di nessuno. La maestra evidentemente è una maestra di città e considera disdicevole che la bambina veda l'accoppiamento fra una mucca e un toro.

Questo è quello che succede moltissimo nella scuola italiana a causa della crisi della acculturazione per familiarità: io ho un presupposto, tu ne hai un altro, quello che per me significa una cosa, per te significa un'altra, ed è solo con l'imprevisto che posso superare questo diaframma.

La vera domanda è: "Cosa deve fare la maestra dopo che la bambina risponde così?" Può rispondere: "Questa bambina è una screanzata, oppure può capire che c'è una differenza di presupposti e cercare di mettere in moto un processo comunicativo che costruisca uno scambio fra persone che sono diverse, che hanno presupposti diversi. Tutto questo può avvenire soltanto se noi prendiamo l'imprevisto come un'informazione, se andiamo in classe con la consapevolezza che ciò che devia dalla nostra previsione è la cosa più importante, più interessante. Il che non vuol dire andare a caso: lo spontaneismo al potere. No, noi dobbiamo avere un nostro ben preciso progetto, ma i progetti sono fatti apposta per essere cambiati, per essere modificati.

Il secondo esempio che voglio proporvi è legata ad un'esperienza didattica in una classe terza di un istituto tecnico, avevo proposto un sonetto di Guido Cavalcanti:

Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira,

che fa tremar di chiaritate l'âre

e mena seco Amor, sì che parlare

null'omo pote, ma ciascun sospira?

Ho letto questo sonetto e poi abbiamo preso il secondo verso: volevo far notare agli studenti queste A "che fa tremar di chiaritate l'âre" in posizione metricamente forte. Questo suono A chiaro e luminoso che andava d'accordo con l'apparizione luminosa della donna. Chiedo: "Cosa notate". Pausa di silenzio poi uno dice: "Ci sono tante ERRE".

Ecco l'imprevisto. Se io prendo l'imprevisto come rumore dico: "Sì, ma ci sono anche tante A". Se invece lo prendo come informazione devo accettare di non sapere dove vado a parare, e infatti io non lo sapevo. Un ragazzo prende la parola: "Quando abbiamo letto Le rime petrose lei ci ha detto che la ERRE è un suono aggressivo e violento e qui non centra per niente". Un terzo dice: "A me dà un ida di vibrazione" e il primo "Come una vibrazione luminosa". Un altro ancora: "Sono ERRE diverse". La cosa interessante di questo scambio comunicativo è che questa cosa delle A e delle ERRE loro se la sono ricordata e forse se la ricordano ancora e la ricordo ancora anch'io perché c'è stato uno scambio effettivo, perché un imprevisto è stato preso come informazione. E una domanda illegittima è diventata legittima. Spiegherò ora cosa s'intende per domanda legittima e illegittima.

 

2.2. Secondo Heinz von Foerster una domanda è illegittima quando chi la pone conosce la risposta. Quindi quando la professoressa chiedeva al mio alunno chi è il protagonista de I Promessi Sposi conoscendo la risposta, era una domanda illegittima. Se chiedo: "Quando è nato Giacomo Leopardi", conoscendo la risposta pongo una domanda illegittima. La domanda invece è legittima se chi la pone non conosce la risposta. Naturalmente a scuola si usano soprattutto domande illegittime per valutare gli studenti e Heinz von Foerster si chiede: "Ma un sistema scolastico tutto basato su domande illegittime quale effetto produce". E risponde: "Un bambino quando entra a scuola è una meravigliosa macchina non banale: fa le domande più strane, dà le risposte più sorprendenti. Poi noi gli facciamo la cura di domande illegittime e cosa impara questo bambino? Che quanto più è prevedibile tanto più è premiato. Impara che la maestra non gli sta chiedendo una cosa per vedere cosa lui pensa ma per vedere se lui risponde come lei sa già che lui debba rispondere".

Effetto perfetto di un modello scolastico di questo tipo è la banalizzazione, il ridurre la macchina non banale ad una macchina banale. Von Foerster dice che i testi scolastici sono un metodo per misurare il grado di banalizzazione; se lo studente ottiene il punteggio massimo, vuol dire che è prevedibile e che si può immettere nella società sapendo che non creerà problemi a nessuno. Sempre Von Foerster conclude con: "Come sarebbe bello un modello di educazione tutto basato sulle domande legittime". Come insegnante io non sono d'accordo, penso che un po' di domande illegittime siano necessarie: due più due fa quattro, Leopardi ha vissuto nel diciottesimo secolo e non nel tredicesimo secolo, è nato a Recanati e non a New York, un'equazione di secondo grado si risolve così.

Uno studente deve convergere verso un sapere dato, è uno dei compiti della scuola; ad es. i bambini piccoli cerchiamo di farli dormire la notte e tenerli svegli di giorno. L'importante è che a fianco di questo cammino verso un pensiero convergente basato su domande illegittime ci sia uno spazio altrettanto grande dato al pensiero divergente basato su domande illegittime.

Allora un'idea di insegnamento che non nuoce allo scoccare del piacere di leggere è un'idea di insegnamento che considera l'imprevisto come informazione e che a fianco delle domande illegittime pone anche domande legittime, E ci sono tante domande legittime molto importanti che si possono porre a proposito di un'opera letteraria.

 

2.3. Terzo punto del secondo titolo della scaletta: "Chi sono io per te chi sei tu per me?" Questo a che fare con la voce "Parola" di Roland Barthes dell'enciclopedia Einaudi. Barthes dice: "Tutte le volte che c'è una presa di parola, nascosta sotto questa presa di parola c'è questa domanda: Chi sono io per te, chi sei tu per me, Di qualunque cosa noi stiamo parlando, qualunque sia l'argomento, qualsiasi sia il contenuto di quello che ci diciamo, sotto sotto c'è dentro di noi la domanda: "Chi sono io per te, chi sei tu per me?". A me viene quando si entra in ascensore con un estraneo. Se hai il giornale è una grande fortuna, leggi; se non hai il giornale stai dalla parte opposta dell'ascensore e guardi da un'altra parte. Se però i piani sono molti e l'ascensore è lento, la domanda: "Chi sei tu per me?" urge, ma è una domanda imbarazzante. Allora istituiamo una relazione il più possibile lontano da "Chi sei tu per me, chi sono io per te?", "…bel tempo, c'è il sole". A me del sole non interessa nulla, ma se il signore non mi risponde io sono mortalmente offeso perché lui mi ha detto: "Tu per me non sei niente". Normalmente esorcizziamo la domanda con un argomento di conversazione assolutamente distaccato: sole cani, gatti… All'estremo c'è il discorso amoroso nel quale continuamente ci chiediamo: "Chi sei tu per me, chi sono io per te? Quanto mi ami…"

Allora la domanda è: "Le discipline scolastiche e la letteratura in particolare nella scuola, per non nuocere, devono essere simili al discorso sul tempo o simili al discorso amoroso?" Io credo che dovrebbero essere in una posizione intermedia: non tanto indifferenti come il discorso sul tempo e non tanto coinvolgenti come il discorso amoroso. La letteratura offre questa possibilità, storie di amori, di odi, di emozioni, di sentimenti, che non sono direttamente le nostre, ma nelle quali noi possiamo essere coinvolti. La letteratura diventa un luogo d'incontro tra esseri umani. A scuola la domanda "Chi sei tu per me, chi sono io per te" deve risuonare significativamente.

Cosa succede nella scuola? Questa domanda "Chi sei tu per me, chi sono io per te" alle elementari è molto viva, i bambini sono molto curiosi della maestra e hanno piacere che la maestra sia curiosa verso di loro. Ma crescendo si spegne questa curiosità e mi sembra che per gli studenti vige questa regola: "Io sono costretto a stare qui tot ore, ci sto, magari sono anche paziente e ti ascolto, però la mia mente, la mia intelligenza, la mia immaginazione, la mia passione sono fuori e guai a te se cerchi di superarle. E spesso anche per l'insegnante questo è molto comodo perché può andare avanti con la trasmissione delle sole nozioni. "Chi è il protagonista de I Promessi Sposi" diventa un rito non molto faticoso. Ma è un compromesso non certo favorevole allo scoccare del piacere di leggere. Insegnare letteratura vuol dire anche cercare di rompere questa incrostazione e di arrivare ad un incontro tra esseri umani.

 

2.4. Moren alla valutazione contrappone la strategia. Dice: "Il problema della complessità non consiste nella formulazione di programmi che le menti possano inserire nel loro computer. La complessità richiede invece la strategia, perché solo la strategia può consentirci di avanzare entro ciò che è incerto e aleatorio".

In una situazione in cui i "sistemi" degli studenti non sono i nostri (vedi il precedente riferimento a "I Cavalieri dello Zodiaco") il programma serve poco è più utile la strategia. Continua Morin: "L'arte della guerra è un'arte strategica perché è un'arte difficile che deve tener conto non soltanto dell'incertezza relativa ai movimenti del nemico [metaforicamente, nel nostro caso, gli studenti] ma anche dell'incertezza relativa a ciò che il nemico pensa, e quindi anche a ciò che il nemico pensa che noi pensiamo. La strategia è l'arte di utilizzare le informazioni che si producono nell'azione, di integrarle, di formulare in maniera subitanea determinati schemi d'azione, e di porsi in grado di raccogliere il massimo di certezza per affrontare ciò che è incerto"

Devo unire programmazione e strategie: devo avere un progetto di massima e seguirlo, ma contemporaneamente devo tenere un atteggiamento di accoglimento di tutti gli imprevisti, di tutte le novità che mi vengono dagli studenti (come nel caso delle ERRE), imprevisti che io non so quali saranno ed è bene che io non lo sappia. La strategia è fondamentale, il saper raccogliere e rispendere le informazioni che in quel momento mi vengono dai ragazzi. Quando Stefano [Ricercatore sociale partecipante allo stesso convegno] criticava l'idea di definizione in nome di un'idea di descrizione, in fondo credo dica sostanzialmente la stessa cosa.

Si dice che le persone pericolose non sono le persone ignoranti, ma quelle che non sanno di essere ignoranti, le persone pericolose sono quelle che non sanno di non sapere. Allora noi dobbiamo sapere di non sapere. Noi insegnanti ci troviamo di fronte ad essere umani e dobbiamo costruire con loro una relazione che non può essere predeterminata.

3.1. Si può fare letteratura senza nuocere alla nascita del desiderio di leggere? Ecco quattro riflessioni sulla parola letteratura.

L'opera letteraria è documento di un epoca passata, anche recentemente passata, ma passata ed è un monumento di quell'epoca, dunque lo scopo dell'insegnamento della letteratura è il percorrere i grandi documenti: una prospettiva di tipo storicistico dell'insegnamento della letteratura italiana. Questa prospettiva è inesorabilmente una trasmissione di informazioni: "Chi è Leopardi? Quando è nato? Che cos'è il pessimismo cosmico? …"

Ora io ho avuto l'occasione di vedere da poco i nuovi programmi per i licei proposti dal ministero, vi dico cosa prevedono nel biennio: Iliade, Odissea, Eneide, le tragedie greche, I Promessi Sposi e letteratura italiana delle origini. Io non vorrei nuocere al desiderio di leggere, ma di fronte ai ragazzi che leggono collane tipo TVB (Ti Voglio Bene), noi proponiamo Guittone d'Arezzo…

Poi al triennio gli autori canonici, cioè la letteratura italiana da Dante in su: ventisei autori obbligatori in ordine cronologico. Un modello "spiacericida", l'ammirazione obbligatoria, la morte del desiderio di leggere. Questo è il modello purtroppo ancora dominante ed è il modello del mio liceo classico. Pensare che i ragazzi di oggi siano uguali a me quando andavo al liceo è impressionante, non funzionava neanche allora!

 

3.2. La seconda idea è quella della letteratura come oggetto linguistico. Ne abbiamo già parlato prima: lo smontaggio del testo per capire come è fatto. E qui si può andare avanti velocemente, è un luogo comune, persino nei programmi appena citati si dice di non eccedere in discorsi del genere.

Questa idea dell'insegnamento della letteratura come trasmissione di abilità tecniche va d'accordo con la didattica della programmazione come verifica di abilità, cioè c'è un parallelismo tra una visione storicistica, formalistica, strutturalista della letteratura: "Leggere uguale smontare" e un'idea della scuola come verifica oggettiva di abilità: sa riconoscere la fabula e l'intreccio…

Ma si può andare oltre questi modelli e io credo che il modello più adatto non esclude affatto lo storicizzare un po' e l'analizzare un po'. Quando, nell'esempio fatto precedentemente, leggevamo Cavalcanti stavamo storicizzando perché leggevamo un testo antico e abbiamo visto cosa era questo Dolce Stil Novo e gli studenti hanno analizzato il testo ed hanno individuato le ERRE. Ma poi abbiamo interpretato, cioè ad un certo punto il clou della vicenda non è stato né guardare il Dolce Stil Novo, né trovare delle ERRE, ma dare un senso a quelle ERRE.

 

3.3. E qui nascono le domande. In un lavoro a cui si dà un senso, l'interpretazione è necessariamente una domanda decisiva.

Perché cosa significa per te io non lo so, io so cosa significa per me, cosa significa per te lo sai tu. Io conosco Dante meglio di te, ma che cosa possa significare Dante per te lo sai tu molto meglio di me. E allora imparare a descrivere cosa significa o non significa Dante per te, questa è una sfida molto interessante per tutti e due: io posso imparare qualcosa da te, tu puoi imparare qualcosa da me. E allora forse la concezione meno disadatta o più adatta a non infierire sul desiderio di legger potrebbe essere "L'opera letteraria come campo di gioco".

 

3.4. Wofang Iser dice "Gli autori giocano partite con i lettori e la letteratura è il campo di gioco". Riprendendo Laurence Sterne: "E come nessuno che sappia che cosa significhi stare in compagnia di persone per bene, oserebbe dire tutto lui; così un autore che conosca i limiti della decenza e della buona educazione, non si permetterebbe di pensar tutto lui. Il più sincero omaggio che possiate rendere all'intelligenza del lettore, è di spartire il lavoro in due, amichevolmente, e lasciare ch'egli inventi la sua parte, come voi la vostra. Quanto a me, io non faccio che usar continuamente di questi riguardi verso i miei lettori, e mi adopero come posso per tenere la loro fantasia tanto occupata quanto la mia"

Il testo è un campo di gioco: lo scrittore porta le parole, il lettore i significati. Tutto quello che noi facciamo è finalizzato per arrivare a questo. E allora il problema da superare è la distinzione, che c'è profondamente nella testa di noi insegnanti, fra lettura e letteratura. È come se la lettura, come esperienza umana fosse una cosa e la letteratura come disciplina scolastica fosse tutta un'altra cosa. Che senso ha, per esempio, prescrivere obbligatoriamente I promessi Sposi, io non ho niente contro I Promessi Sposi che è un romanzo meraviglioso, ma che cosa significa prescrivere obbligatoriamente al lettore proprio quel romanzo: l'unico romanzo della letteratura mondiale di cui i ragazzi sanno già come va a finire. Io che sono, credo, un lettore colto, quando leggo un romanzo, uno degli scopi fondamentali della mia lettura è vedere come va a finire.

Ma c'è un rapporto tra la lettura con l'esperienza umana di questi ragazzi di 14-15 anni di oggi e la letteratura come disciplina scolastica, che poi è quasi sempre storia della letteratura? Tutto questo è per me una domanda fondamentale.

Dobbiamo riuscire a gettare dei ponti tra la lettura come la possono fare i ragazzi di oggi e la letteratura come la insegniamo a scuola, che può essere anche Manzoni, io non sto dicendo che questa roba non va mai insegnata. Va insegnata nel momento giusto e nel modo opportuno. Quindi un'idea di letteratura che ci è data sull'esperienza: cosa succede quando noi leggiamo, cosa succede a me, cosa succede a te e perché ci succede.

 

4.1. Mancano dieci minuti… stringo!. Nel punto quattro "Fare" letteratura volevo proporre degli esempi, mostrare concretamente come insegnare in quel modo… anche se ho poco tempo.

Una cosa che volevo dire per esempio e che si possono leggere e scrivere opere letterarie in classe. La letteratura come gioco, sia nel senso dei giochi di interpretazione che dei giochi di confronto. Come esempio ripensate al sonetto di Cavalcanti.

Un altro esempio è quello di chiedere agli studenti di scrivere. Quando entravo in una classe nuova, dove non conoscevo gli studenti e loro non si conoscevano molto tra di loro, chiedevo agli studenti questo tipo di operazione: "Racconta la tua vita in mezza pagina piccola, usa la terza persona, puoi mentire". Ciascuna di queste prescrizioni aveva uno scopo. In non più di mezza pagina: gli studenti sono ossessionati dal fatto che bisogna scrivere almeno più di… Nelle rare occasioni di scrittura che hanno scrivono una cosa lunga, quindi chiedevano: "Potrei scrivere una riga di più perché mezza pagina è poco". Usa la terza persona: per distaccarti emotivamente. Puoi mentire: perché io non voglio ficcare il naso nei tuoi affari, per superare il muro "cosa sono io per te cosa sei tu per me"; la bugia sarà più vera ancora della realtà.

Voglio proporvi due esempi di racconti che mi fecero una ragazza ed un ragazzo. Sara, la prima della classe, scrive un bel racconto "classico". Mirko, un lavativo, invece scrive così: "Mirko è nato nel 1990, però non mi ricordo a che ora, fin da piccolo è sempre stato vivace ma ubbidiente, per esempio quando trovava il bagno occupato lui apriva un cassetto della biancheria e ci pisciava dentro, man mano che cresceva diventava meno vivace, ma più disubbidiente e matto. Per dirne una, una sera prende una bici e fa un giro; esce da un incrocio senza guardare e toc va sotto una macchina che stava passando. Adesso Mirko è un uomo, ma sta diventando sempre più scemo, portandosi dietro la sua sfortuna con i mezzi di trasporto. Non so più niente, so solo che adesso è a casa che sta scrivendo in una pagina la sua vita."

Questa pagina di Mirko ebbe molto successo, questo ci dice che il gioco della letteratura può avere esiti diversi e può valorizzare ciò che ci fa diversi: perché uno dei problemi della scuola è che tende a valorizzare solo ciò che ci fa uguali.

 

4.3. A causa del poco tempo a disposizione non mi soffermo sulla poesia.

 

4.4. Mi fermo invece sulla storia della letteratura che è una cosa incresciosa. Poniamo che siano approvati questi spaventosi programmi… come si può fare Storia della letteratura. Vi faccio degli esempi. Il primo esempio è l'esercizio di attribuzione. In classe abbiamo letto un po' di Dante, un po' di Petrarca, abbiamo dato ai ragazzi un sonetto dell'uno e dell'altro, su materia amorosa, e abbiamo invitato i ragazzi a riconoscere quale è di Dante e quale di Petrarca. Ovviamente i sonetti non erano mai stati letti in classe. Vi assicuro che una cosa così suscita un interesse inatteso.

In un'altra classe avevo perso la scommessa su Petrarca, ai ragazzi non glie ne importava nulla. Decisi di portare in classe un unico sonetto di Petrarca con i versi scompaginati, cioè in disordine, solo il primo era in ordine e ho detto loro: "In un'ora dovete ricostruire questo sonetto". L'hanno ricostruito tutti, chi più in fretta, chi meno in fretta, e alla fine mi hanno detto: "Bello, ce ne porta degli altri". Quel Petrarca che era assolutamente indigeribile finché si trattava semplicemente di leggerlo, nel momento in cui diventava anche oggetto di un giochetto, diventava interessante perché era qualcosa che si faceva. Poi abbiamo insistito, abbiamo preso il libro Il canzoniere (millelire), lo hanno comprato tutti e ognuno ha letto almeno un sonetto agli altri. Tutto grazie a questa escamotage.

Altre proposte. Dopo aver letto l'Ariosto ed il Tasso ho detto loro di scrivete un'ottava di argomento scolastico. Eccone un esempio:

Durante le sue ore sono stanco

e a seguire proprio non ci riesco

Vorrei sognare un cielo tutto bianco

disteso su di un letto fresco fresco

Tengo la mia testa sopra il banco

ma io con la mia mente non ci riesco

Per questo professore mio adorato

la sua lezione ormai ha scocciato

5. Concludo. Abbiamo visto la letteratura come gioco, come luogo d'incontro tra esseri umani, dove persino la storia della letteratura, se concepita in questo modo può funzionare. Una situazione dove la programmazione non è rigida ma è strategia, dove l'imprevisto non è rumore ma informazione, una situazione in cui c'è posto per le domande illegittime. Una situazione in cui la letteratura è un campo di gioco il cui centro è l'interpretazione: "Cosa significa per me, per te".

A che cosa serve un insegnamento di questo tipo? Lo esprime in maniera molto eloquente un critico letterario che si chiama William George Clark, vissuto nel secondo Ottocento, intervenendo a proposito del romanzo Jane Eyre di Charlotte Brontë. Sapete che quando questo romanzo uscì non si sapeva se fosse di un uomo o di una donna. I critici letterari sentenziarono che era sicuramente di un uomo perché era scritto molto bene. Quando poi si seppe che l'autore era una donna piovvero le critiche. Dunque Clark intervenne ne dibattito in questo modo: "Abbiamo preso in mano Jane Eyre una sera d'inverno, irritati in un certo senso dalle lodi eccessive che avevamo udito e irremovibilmente decisi ad essere critici come Coker [un critico che aveva stroncato il libro]. Ma, continuando a leggere, dimenticammo sia le lodi sia le critiche, ci identificammo con Jane in tutte le sue peripezie, e sposammo infine mr. Rochester verso le quattro del mattino." Ecco la letteratura, fuori dalla scuola, metterci nei panni degli altri, considerare il mondo con lo sguardo di un altro, dislocarsi in un altro punto di vista.

Stern dice, come autore, di fare la sua parte, ma poi lasci spazio ai lettori. E anche io insegnante faccio la mia parte, faccio il progetto, insegno, ma lascio ai ragazzi la loro parte, una parte dove possano usare la loro intelligenza, la loro immaginazione.

Tutto questo può essere ancora poco, ma mi viene in mente una frase del Dalai Lama. Invitato all'università La Sapienza di Roma, dopo aver ricevuto la laura honoris causa, il Dalai rispose semplicemente: "Vi ringrazio". Ci rimasero male. Allora dal pubblico uno disse: "Ci dia un messaggio di speranza" e lui rispose: "Quando uscite da una stanza, spegnete la luce". La proporzione nella quale noi possiamo agire sulle sorti del mondo è limitata, però quel pezzettino –spegnete la luce- dobbiamo farlo con impegno.

 

Riferimenti bibliografici

G. Armellini, Come e perché insegnare letteratura, Zanichelli, 1987

G. Armellini, La letteratura in classe. L'educazione letteraria e il mestiere dell'insegnante, Unicopli, 2008

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